Il Regno di Napoli e delle due Sicilie.

Il 18 luglio Gioacchino lanciò ai nuovi sudditi un proclama, pieno di grandi promesse ed il 6 settembre giunse a Napoli come nuovo Re, nella sua smagliante divisa militare, con la sua persona imponente, di bell'aspetto e con la fama di valoroso soldato. Piacque subito al popolo, ricevette le chiavi della città, gli omaggi dei magistrati e la benedizione del Cardinale Firao, nella chiesa dello Spirito Santo. Il 25 dello stesso mese giunse la Regina Carolina con i 4 figli, che fu molto ammirata per la sua bellezza.
Gioacchino si fece subito notare ed apprezzare per la sua attività come quella di abolire il feudalesimo, cercare di eliminare il brigantaggio, mettere importanti sgravi fiscali, visitare le carceri e gli ospedali, amnistiare i disertori, dare soccorso ai militari in ritiro, abolire ai ministri il cumulo degli stipendi, limitare i rigori della polizia. Numerosi anche i lavori pubblici sia a Napoli che fuori, quali le riprese degli scavi di Ercolano, la progettazione del Borgo Nuovo di Bari secondo i più moderni canoni urbanistici; Reggio Calabria ebbe per la prima volta l’illuminazione pubblica. Numerose anche le opere di bonifica in zone paludose a Seminara, Sinopoli, Gioia Tauro. Fu conquistato soprattutto dalla bellezza di Positano, dove scelse un antico palazzo del settecento, in stile barocco, quale sua dimora estiva. Istituì anche il “Corpo di Ingegneri di ponti e strade”, atto alla loro realizzazione.
Un mese dopo, anche sotto l'influenza del Prefetto di polizia Maghella, Murat incominciò un progressivo sganciamento dall'Imperatore, accarezzando contemporaneamente il sogno di unificare e rendere indipendente l'Italia. Ma non riuscì nemmeno a togliere la Sicilia a Ferdinando IV° (1809), dovendo peraltro accontentarsi della conquista di Capri, sottratta agli inglesi per merito delle truppe francesi del Generale Lamarque e di alcuni napoletani guidati dal Principe Pignatelli Strangoli (3-4 ottobre 1808). Queste truppe, partite da Napoli e da Salerno, con la scorta della flottiglia del capitano Correale, sbarcarono in tre punti diversi dell’isola. Il Comandante inglese Hudson Lowe perdette settecento uomini che caddero prigionieri ed il 18 ottobre, malgrado fossero arrivate due fregate inglesi, dovette capitolare. Murat, per la sua posizione di fronte all’Isola di Capri, scelse la Villa Rossi per dirigere l’assedio all’isola occupata dagli inglesi.


Villa Rossi com'è oggi

In questa stessa villa fu firmato l’atto di resa di Hudson Lowe, che, dopo qualche anno, diverrà il carceriere di Napoleone a Sant’Elena. L’importanza dell’isola di Capri era dovuta al fatto che gli inglesi impedivano il commercio nel golfo, minacciavano la capitale e mantenevano relazioni con le persone importanti di fede borbonica.
Murat comunicò la notizia della vittoria sugli inglesi a Napoleone per mezzo del suo Ministro degli Esteri. Questo sembrò all’Imperatore, che considerava tutti gli altri Re suoi congiunti altrettanti Luogotenenti, un gesto di indipendenza e gli mandò un aspro rimprovero. La lettera di Napoleone fu un’ umiliazione per il Murat, che voleva fare il Re veramente e non il Viceré dell’Imperatore.
Da questo momento incominciarono i dissidi fra i due Sovrani.
Murat, nei rapporti con Napoleone rivelò imperizia e ingenuità, ostentando uno sfarzo che tornò sgradito al cognato, mostrandosi riluttante ad applicare il Blocco continentale, cospirando con Talleyrand e Fouché (1809) e, una volta perdonato, prendendo apertamente posizione contro il secondo matrimonio dell'imperatore (1810). Giova anche ricordare i precedenti intrighi dell'ambiziosa moglie Carolina, miranti ad assicurare al marito la successione al trono imperiale, nel caso Napoleone fosse morto senza una discendenza diretta.
A Napoli Murat invece si acquistò un'ampia e solida popolarità, assistito da ottimi ministri. Rimosse lo stato d’assedio nella Calabria, introdusse nuovi codici, soppresse altri ordini religiosi, aprì strade, costruì ponti, edificò a Napoli, diede stabile assetto alle scuole pubbliche del Regno migliorando anche l’Università.
Da buon generale e combattente Murat, come sovrano, riorganizzò per prima cosa l'esercito, dando ad esso l'impronta di quello francese sia come struttura che come armamenti. Entrarono in vigore riforme legislative della massima importanza: nel 1809 il “Codice Napoleone” ed il “Codice di Commercio francese” e nel 1812 il “Codice Penale”. Vennero istituiti nuovi tribunali, corti ed uffici del registro.
Ordinò la coscrizione obbligatoria per la quale ogni anno dovevano prestare servizio 1000 uomini dai diciassette ai ventisei anni. In poco tempo l’esercito da 20.000 uomini, com’era al suo arrivo, fu portato a 80.000 uomini e a 20.000 le milizie provinciali. Ingrandì le fabbriche d’armi, fondò la Scuola d’Artiglieria di Capua e la Politecnica dell’Annunziatella, fece eseguire molte opere di fortificazione.
Aumentò anche la Marina da Guerra: alla Fregata Cerere, alla Corvetta Fama, a 2 bricks ed una cinquantina di barche cannoniere fece costruire, negli ingranditi cantieri di Napoli e di Castellamare, le Fregate Letizia e Carolina ed i vascelli Capri e Gioacchino e aumentò il numero delle cannoniere ed il numero di equipaggi.
L’11 giugno 1809 truppe siculo-britanniche, nominalmente comandate dal Principe Leopoldo di Borbone, formate da 15.000 uomini, scortati dalla flotta britannica, partirono da Milazzo e da Messina, mentre 3400 uomini, in parte soldati e in parte briganti, sbarcarono tra Reggio e Palmi, cinsero d’assedio Scilla e si dispersero all’interno per sollevare le Province nel nome di Ferdinando e Maria Carolina Borbone.
Gioacchino corse alle difese mettendo le sue truppe intorno a Napoli, a Lagonegro e a Monteleone. Intanto la flotta anglo-sicula occupava il 23-24giugno le isole di Ischia e Procida. Riunite le proprie navi nel Canale di Procida, avvenne uno scontro cruento, che costrinse i generali di Murat a far rifugiare le navi nel porto di Baja. Avendo successivamente ricevuto l'ordine di portarsi a Napoli, il Comandante Bausan partì da Baja e manovrando abilmente, riuscì a doppiare l'isola di Nisida; ma giunto presso la punta di Posillipo fu assalito dalla Cyane seguita poi dall' Espoir e da una trentina di cannoniere inglesi. Il combattimento che ne seguì fu rabbioso e durò fin quando la flottiglia napoletana fu giunta sotto la protezione delle batterie del porto. La Cyane e la Cerere riportarono gravi danni, la seconda ricevette non meno di cinquanta proiettili in piena coperta, la velatura ridotta a brandelli e una quarantina d'uomini uccisi. Il Re con una gran folla di cittadini assistette dal porto e dalla via di Chiaia alla terribile battaglia e, quando questa terminò, si recò sulle navi coperte di cadaveri e di feriti, e distribuì lodi e ricompense ai combattenti. Il Bausan, gravemente ferito, fu promosso Capitano di Vascello e nominato Commendatore dell'Ordine delle Due Sicilie.
Alla notizia della vittoria napoleonica di Wagram e dell'armistizio di Znaim, gli Inglesi (24 luglio) lasciarono Procida e Ischia, preceduti di alcuni giorni da quelli che si trovavano all'assedio di Scilla. Il 15 agosto, compleanno dell'Imperatore, mentre sulla via di Chiaia il Re si preparava a passare in rivista l'esercito, all'improvviso comparve la flotta inglese nelle acque napoletane e cominciò a lanciar bombe sulla capitale. Murat, vestito da Grande Ammiraglio dell’Impero, andò incontro al nemico. Si combattè fino a sera, quando il nemico, senza aver subito danni, ma nemmeno averne arrecati, prese il largo.
Nel Regno di Napoli rimasero però i briganti, che spargevano il terrore nelle province. Nella Basilicata una banda di cinquemila uomini ubbidiva ad un certo Scarola, ex-galeotto; tra la Basilicata e Salerno spadroneggiava una banda di milletrecento briganti, di cui un terzo a cavallo; nella Puglia un'altra numerosa banda aveva per capo uno che si spacciava per il principe ereditario Francesco di Borbone e si circondava di pompa regale non tralasciando però di taglieggiare e saccheggiare; altre bande infine infestavano la Calabria.
Per estirpare il brigantaggio, Gioacchino non solo mandò contro le bande reparti di truppe, ma emanò anche leggi eccezionali; ordinò di confiscare loro i beni per distriburli ai danneggiati, prescrisse che in ogni provincia si compilasse una lista dei nomi dei briganti da esporre poi in tutti i comuni: commissioni militari dovevano giudicare sollecitamente i briganti ed i loro favoreggiatori; le famiglie dei capi dovevano essere incarcerate e tutti i beni dei condannati alla pena capitale confiscati.


Firme e sigle autografe sui documenti di Joachim Murat

Nel novembre del 1809 il Re e la Regina si recarono a Parigi; quando Gioacchino tornò, seppe che i Borbonici avevano abbandonato le isole di Ponza e Ventotene. Rientrato a Napoli il 14 febbraio del 1810, il Re ripartì ancora per Parigi il 12 marzo per ritornare il 28 aprile.
Quattro giorni dopo, essendosi presentata nelle acque di Napoli una squadra inglese, comandata dal Capitano Brenton, e composta da due fregate, lo Spartau e il Succes, e dal brigantino Espoir, dietro ordine del Re uscì dal porto una flottiglia napoletana per dar battaglia alle navi nemiche. La componevano la fregata Cerere, la corvetta Fama, il cutter Achille, il brick Sparviero e sei barche cannoniere; ne aveva il comando il francese Ramatuelle, che aveva preso posto sulla Cerere, dove stava un nucleo di soldati del reggimento Latour d'Auvergne.
La mattina del 3 maggio 1810, presso Procida, la Cerere avvistò lo Spartau e gli corse addosso decisa ad abbordarlo; la fregata nemica, che era superiore per velocità e artiglieria, quando la nave napoletana fu a tiro lasciò partire una terribile scarica che ruppe un braccio al Ramatuelle, uccise e ferì molti ufficiali, marinai e soldati, schierati sulla coperta per l'arrembaggio.
Prese il comando della Cerere il tenente Barentin, ma poco dopo, colpito dal fuoco nemico, anch’egli cadde ucciso; allora la fregata napoletana, che era stata gravemente danneggiata ed aveva subito gravi perdite, si allontanò verso Baja per mettersi sotto la protezione delle batterie costiere, mentre le altre navi entravano in azione contro lo Spartau. La lotta fu piuttosto impari, e gli inglesi ebbero la meglio, anche se il Brenton, gravemente ferito, cedette il comando al tenente Wìckens Willes. L' Achille, malconcio, dovette ritirarsi a Baja; la Fama, ch'era sotto il comando di Giuseppe de Cosa, disalberata, fu rimorchiata dalle cannoniere a Baja; lo Sparviero, molto danneggiato fu catturato dagli Inglesi, che in quella battaglia ebbero dieci morti e ventidue feriti, ma gravi danni allo Spartau.
Perdite più gravi ebbero i Napoletani: trenta morti e novanta feriti accusò il Murat nella sua relazione a Napoleone; ma questo numero non è esatto perchè soltanto la Fama ebbe ottantanove uomini fuori combattimento e la Cerere circa un terzo dell'equipaggio. Tra i feriti, oltre il Ramatuelle, ci fu il Vincent. comandante dell'Achille; tra gli ottantasette prigionieri dello Sparviero ci fu il comandante Raffaele de Cosa, che si ebbe gli elogi del Ramatuelle, come tutti ebbero poi quelli del Re, che di loro scrisse: "… é impossibile battersi con maggior valore…".
Il 16 maggio Gioacchino iniziò “l’impresa di Sicilia”. Lasciò Napoli e partì per la Calabria, nella cui estrema punta, fra Reggio e Scilla, aveva raccolto tre divisioni forti di ventiduemila uomini, una napoletana, due francesi, comandate dai generali Cavaignac, Partounneaux, Lamarque, e circa seicento legni da trasporto e da guerra.
Il Re voleva tentare, un'impresa difficilissima, perfino impossibile date le poche le forze che disponeva, visto che un esercito anglo-siculo pari per numero a quello franco-napoletano era ad attenderlo a Messina, mentre una nutrita flotta britannica vigilava ed era pronta ad entrare in azione per impedire ogni sbarco in qualsiasi parte dell'isola.
Murat, nonostante il contrario parere del Grenier, Comandante Supremo dell'Esercito, era deciso a passare lo Stretto per compiere un'ardua impresa e conquistarsi la gloria in una regione così vasta e ricca, che solo di nome lui aveva la corona. Sebbene Gioacchino irrequieto bruciasse dal desiderio di toccar la riva opposta, tuttavia trascorsero tre mesi prima di tentare lo sbarco.
Il 9 giugno sette cannoniere respinsero dodici navi nemiche; scontri navali avvennero con risultato favorevole alla marina napoletana il 22 e il 29 giugno; il 21 luglio ottanta legni avversari dovettero ritirarsi; altri scontri avvennero il 5, il 7, il 21 e il 25 agosto e il 4 e il 5 settembre.
Tra il 17-18 settembre, nella notte, finalmente il Murat decise di tentare il passaggio; la divisione napoletana del generale Cavaignac, forte di duemila uomini, passò lo stretto e sbarcò a Scaletta; ma le divisioni francesi invece non si mossero. Spiegazione di questo stallo sul continente alcuni lo giustificarono con la mancanza di vento, da altri si affermò che si era opposto il Grenier, che aveva ordini segreti in proposito da Napoleone.
Non vedendosi sostenuto, il generale Cavaignac minacciato sull'isola dall'esercito anglo-siculo, dai contadini armati e dalla flotta inglese, imbarcò parte della sua divisione e lasciò nell'isola novecento uomini, i quali, dopo una strenua difesa, furono fatti prigionieri.
Il 29 settembre 1810 Gioacchino sciolse il campo di Reggio indirizzando alle truppe un Proclama in cui era detto: "…La spedizione contro la Sicilia è rinviata ad un altro momento. Lo scopo che l’Imperatore si era proposto con le minacce di quest’invasione è già conseguito; e la posizione di guerra in cui ci siamo per quattro mesi continui mantenuti con tanta costanza e con tanto onore sullo Stretto, ha nei suoi effetti oltrepassato le concepite speranze…”
Napoleone invece rimproverò il cognato non solo per la condotta delle operazioni, ma anche per aver parlato a suo nome nel Proclama e per avere sciolto il campo. L'Imperatore voleva tenere impegnata per tutto l'inverno l'armata inglese davanti a Reggio, e non aveva proprio nessuna intenzione di conquistare la Sicilia, mentre Gioacchino, tutto intento a tradurre in atto il suo sogno di conquista, non aveva saputo penetrare il segreto pensiero del grande cognato e agevolarne l'attuazione dei piani.
Tornato a Napoli, Gioacchino rivolse nuovamente il pensiero alla soppressione del brigantaggio.
Nell'ottobre del 1810 il Murat pubblicò leggi severissime contro i banditi e loro favoreggiatori e diede pieni poteri al giovane generale Carlo Antonio Manhès, che agì con spietata energia, prima nella Calabria, poi nelle altre regioni, liberandole in due soli mesi da tremila banditi, i cui nomi figuravano elencati nelle liste. Mentre il generale Manhès, con il suo pugno di ferro distruggeva il brigantaggio, Gioacchino dedicava la sua attività a Napoli a tutte quelle opere che potevano fare rifiorire il regno e cercava soprattutto di consolidare la sua posizione concedendo titoli ad ufficiali, a magistrati e ad artisti; ma fin da allora già pensava di rendersi indipendente dal cognato, che troppe volte lo aveva umiliato e che lo avrebbe senza dubbio sacrificato ora che gli era nato (il 20 marzo 1811) l'erede dell'Impero…

(continua)






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